Questo noto passo del Gorgia di Platone (dialogo tra Socrate e Polo) introduce l’infelicità del tiranno, il quale, pur facendo tutto ciò che vuole, non fa ciò desidera. Che cos’è che un essere umano davvero desidera? Essere felice. E se un uomo fa tutto ciò che vuole ma alla fine della sua vita (se ne accorga o non se ne accorga) non ha fatto ciò che ha desiderato veramente, in realtà non è mai stato felice. Il passo proposto è solo una selezione, per approfondire, continuare a leggere il Gorgia.
Platone, Gorgia, 463e-468e
GORGIA Per Zeus, o Socrate! Neppure io capisco ciò che dici.
SOCRATE [463e] Naturale, Gorgia! Non è affatto chiaro quello che dico, ma il nostro Polo è giovane e impetuoso!
GORGIA Ma lascialo stare, e piuttosto spiega a me in che senso dici che la retorica è immagine di una parte della politica.
SOCRATE Ebbene, cercherò di spiegare quello che mi pare che sia la retorica. Se poi accadrà che non sia questo, il nostro Polo [464a] mi confuterà. c’è qualcosa che tu chiami corpo e qualcosa che tu chiami anima?
GORGIA E come no?
SOCRATE E non pensi che per ciascuno di questi ci sia uno stato di benessere?
GORGIA Io sì.
SOCRATE E poi? Pensi anche che esista uno stato di benessere apparente e non reale? Ti descrivo un caso di questo genere: sembrano essere sani di corpo molti di cui non sarebbe facile accorgersi che in realtà non lo sono, a meno che uno non sia medico o esperto di ginnastica.
GORGIA Dici il vero.
SOCRATE E una cosa del genere dico che accade e nel corpo e nell’anima, qualcosa che fa sembrare che il corpo e l’anima siano in buona salute, benché, [464b] malgrado ciò, non lo siano affatto.
GORGIA È così.
SOCRATE Ebbene, se ne sono capace, cercherò di spiegarti in modo più chiaro quello che intendo dire. Dato che si tratta di due cose distinte, io dico che due sono le arti: l’arte che riguarda l’anima la chiamo “politica”, mentre quella che riguarda il corpo non so chiamartela così con un nome solo, ma, benché sia una sola la cura del corpo, dico che due sono le parti di essa: una è la ginnastica, l’altra è la medicina. Nell’arte politica, poi, l’arte della legiferazione è l’equivalente della ginnastica, mentre alla medicina corrisponde la giustizia. [464c] L’una e l’altra arte di ogni singola coppia sono fra loro in stretta relazione, dal momento che hanno a che fare col medesimo oggetto: la medicina con la ginnastica e la giustizia con l’arte della legiferazione; tuttavia in qualcosa si distinguono l’una dall’altra. Ebbene, che queste arti sono quattro e che curano, mirando sempre al meglio, le une il corpo, le altre l’anima, se n’è accorta la lusinga, non per via di conoscenza ma per averlo indovinato, e, divisasi in quattro, si è insinuata sotto ciascuna di queste parti, e finge [464d] di essere quell’arte sotto cui si è insinuata; di ciò che sia meglio non si dà alcun pensiero e con quello che di volta in volta è la cosa più piacevole tende trappole agli stolti e li inganna, al punto di far credere loro di essere cosa di grandissimo valore. Dunque, sotto la medicina si è insinuata la culinaria, e finge di sapere quali siano i cibi migliori per il corpo così abilmente che, se un cuoco e un medico dovessero competere davanti ad una giuria di fanciulli, o di uomini tanto stolti quanto lo sono i fanciulli, per decidere chi dei due si intenda dei cibi buoni e dei cibi dannosi, se il medico o il cuoco, il medico morirebbe di fame. Ebbene, questo io lo chiamo lusinga, e dico [465a] che è una brutta cosa, o Polo, e con questo rispondo alla tua domanda, perché mira al piacere senza tener conto del sommo bene. E non la definisco arte ma attività empirica, perché offre le cose che offre senza avere alcuna intelligenza di quale sia mai la loro natura, sicché non può spiegare la ragione di ciascuna di esse. Ed io non chiamo arte un’opera che non si possa razionalmente giustificare. Ma se non sei d’accordo su queste mie affermazioni, sono disposto a renderne conto.
[465b] Sotto la medicina, dunque, sta, come dicevo, la lusinga culinaria; sotto la ginnastica, parimenti, la lusinga dell’agghindarsi, malefica, ingannevole, ignobile e servile, che inganna con figure esteriori, colori, leziosità e vesti, al punto da far sì che gli uomini, preoccupati di attirare su di sé una bellezza estranea, trascurino la propria, quella cioè che si ottiene grazie alla ginnastica. Ma per non farla troppo lunga, voglio spiegarmi usando il gergo dei geometri, perché così, forse, [465c] riuscirai a seguirmi, e voglio dirti che, come l’arte di agghindarsi sta alla ginnastica, così la sofistica sta all’arte della legiferazione, e che, come la culinaria sta alla medicina, così la retorica sta alla giustizia. Ebbene, quello che intendo dire è che, pur essendo le due arti per natura distinte, dal momento, però, che sono fra loro vicine, sofisti e retori si confondono in uno, e così le cose di cui si occupano, e non sanno che funzione attribuire né loro a sé stessi né gli altri a loro. Se, infatti, l’anima non governasse [465d] il corpo, ma questo si governasse da sé, e se non fosse l’anima a riconoscere e a distinguere la culinaria e la medicina, ma fosse il corpo a giudicarle stimandole in base ai piaceri che gliene vengono, allora, o Polo, varrebbe quanto dice Anassagora visto che tu di queste cose sei pratico, e tutte le cose si confonderebbero in una, senza che si potessero più distinguere le cose della medicina, della salute e della culinaria. Hai sentito, dunque, quello che io sostengo che la retorica sia: essa è per l’anima [465e] l’equivalente di quello che la culinaria è per il corpo. Ma ecco che, forse, ho fatto una cosa assurda: pur non permettendo a te di fare lunghi discorsi, proprio io ho tirato il mio discorso per le lunghe. Ma merito il perdono: quando parlavo in modo conciso, non capivi, e non sapevi cavare nulla dalla risposta che ti avevo dato, ma avevi bisogno che ti venisse spiegata per esteso. Ebbene, se anch’io, [466a] a una tua risposta, non saprò cavarne nulla, allora anche tu potrai sviluppare il tuo discorso; se, invece, io saprò che utilità cavarne, lascia che ne faccia buon uso, come è giusto che sia. E ora, fa’ pure quello che vuoi di questa mia risposta.
POLO Che dici, dunque? Ti pare che la retorica sia una lusinga?
SOCRATE Una parte della lusinga, ho detto. Non te ne ricordi, Polo, che pur sei tanto giovane? Che farai fra non molto?
POLO Ti pare dunque che, nelle città, i buoni retori siano considerati alla stregua di adulatori, gente abbietta?
SOCRATE [466b] È una domanda, questa che fai, o è l’inizio di un ragionamento?
POLO È una domanda.
SOCRATE A me non sembra neanche che siano tenuti in alcuna considerazione.
POLO Come sarebbe a dire, non sono tenuti in alcuna considerazione? Non hanno forse grandissimo potere nelle città?
SOCRATE No, almeno se tu per “potere” intendi qualcosa che sia un bene per chi la possiede.
POLO Ma è questo quello che io intendo!
SOCRATE Allora mi sembra che i retori, fra i cittadini, siano quelli che hanno meno potere di tutti.
POLO Che dici? Non fanno forse uccidere, come i tiranni, chi [466c] vogliono, non spogliano dei beni e non scacciano dalle città chi pare a loro?
SOCRATE Corpo d’un cane, Polo, sono sempre in dubbio, su ognuna delle cose che dici, se siano tue affermazioni e se manifesti una tua opinione, o se invece si tratti di una domanda che fai a me.
POLO Ma è una domanda che ti faccio!
SOCRATE Se è così, mio caro, allora tu mi stai facendo due domande contemporaneamente.
POLO Come sarebbe a dire, due?
SOCRATE Non hai detto poco fa press’a poco questo: «I retori [466d] non fanno forse uccidere, come i tiranni, chi vogliono, non spogliano dei beni e non scacciano dalle città chi pare a loro?»?
POLO Sì.
SOCRATE Ebbene, ti dico che queste sono due domande, e ti risponderò ad entrambe. sostengo, Polo, che tanto i retori quanto i tiranni hanno, nelle città, pochissimo potere, come ho appena detto, perché, in un certo senso, non fanno [466e] nulla di ciò che vogliono, e tuttavia fanno quello che a loro sembra il meglio.
POLO E non consiste forse in questo l’avere grande potere?
SOCRATE No, almeno stando a quello che dice Polo.
POLO Io dico di no? Ma io lo affermo!
SOCRATE O corpo di un.! Tu non lo affermi affatto, dato che sostenevi che l’avere grande potere è un bene per chi lo possiede.
POLO Certo che lo sostengo!
SOCRATE Pensi dunque che sia un bene, se uno fa le cose che gli sembrano migliori, ma senza avere intelligenza? E questo tu lo chiami avere grande potere?
POLO Non io!
SOCRATE Non riuscirai, allora, a dimostrare che i retori hanno intelligenza e [467a] che la retorica è un’arte e non una lusinga, se mi avrai confutato? Se invece mi lascerai inconfutato, allora sarà vera l’affermazione che i retori, e con loro i tiranni, facendo nelle città ciò che loro pare, non hanno guadagnato in questo alcun bene, e sarà vero, d’altra parte, che il potere, come tu dici, è un bene, mentre il fare senza intelligenza ciò che pare, come anche tu ammetti, è un male. Non è vero?
POLO Sì.
SOCRATE Come può essere vera, dunque, l’affermazione che i retori, o i tiranni, abbiano grande potere nelle città, a meno che Socrate non venga confutato da Polo, e non gli venga da questi dimostrato che essi fanno ciò che vogliono?
POLO [467b] Quest’uomo…
SOCRATE Io nego che essi facciano ciò che vogliono. Ebbene, confutami!
POLO Non hai appena ammesso che essi fanno ciò che loro pare essere meglio?
SOCRATE Infatti lo ammetto anche ora.
POLO E non fanno, allora, ciò che vogliono?
SOCRATE Lo nego.
POLO Benché facciano ciò che loro pare?
SOCRATE Sì.
POLO Dici cose spaventosamente paradossali, o Socrate.
SOCRATE Non parlare male di me, mio carissimo Polo, per rivolgermi a te [467c] nei tuoi stessi termini. Piuttosto, se hai domande da farmi, dimostra che io m’inganno, altrimenti, rispondi tu.
POLO Ma io sono disposto a rispondere, almeno per sapere quello che intendi dire.
SOCRATE Ebbene, ti pare che gli uomini vogliano la cosa che di volta in volta fanno, o la cosa in vista della quale fanno ciò che fanno? Ad esempio, coloro che bevono le medicine prescritte dai medici, ti sembra che vogliano la cosa che fanno, ossia bere la medicina e soffrire, o la cosa in vista della quale la bevono, ossia essere sani?
POLO È chiaro che quello che vogliono [467d] è essere sani.
SOCRATE Anche coloro che vanno per mare, allora, e coloro che si imbarcano in qualche altra impresa di guadagno, non vogliono la cosa che di volta in volta fanno: chi vuole, infatti, andare per mare, correre pericoli e avere guai? Vogliono invece, credo, la cosa in vista della quale vanno per mare, vale a dire arricchire. È per amore della ricchezza, infatti, che vanno per mare.
POLO Certamente.
SOCRATE E non è forse così in tutte le cose? Se uno fa una cosa per un fine, non vuole la cosa che fa, bensì la cosa [467e] per cui fa quello che fa.
POLO Sì.
SOCRATE Ebbene, fra le cose che esistono ce n’è qualcuna che non sia né buona né cattiva né una via di mezzo fra il bene e il male, vale a dire né buona né cattiva?
POLO È senza dubbio necessario, o Socrate.
SOCRATE Dunque, non definisci forse beni la sapienza, la salute, la ricchezza e le altre cose di questo genere, e mali le cose opposte a queste?
POLO Sì.
SOCRATE E le cose né buone né cattive non dici, allora, che sono queste che talora partecipano del bene, [468a] talora del male, e talora di nessuno dei due, come accade per lo stare seduti, il camminare, il correre e il navigare, e come accade nel caso delle pietre, dei legni e delle altre cose di questa specie? Non è forse a queste cose che ti riferisci? O sono altre le cose che tu chiami né buone né cattive?
POLO No, sono proprio queste.
SOCRATE Ebbene, si fanno le cose che sono una via di mezzo in vista delle cose buone, o si fanno le cose buone in vista di quelle che sono una via di mezzo?
POLO Senza dubbio si fanno le cose [468b] che sono una via di mezzo in vista di quelle buone.
SOCRATE Dunque, è perché inseguiamo un bene che noi camminiamo, quando camminiamo, pensando che sia meglio farlo, e, al contrario, quando stiamo fermi, stiamo fermi in vista dello stesso fine, vale a dire il bene. Non è così?
POLO Sì.
SOCRATE E allora non uccidiamo, se uccidiamo qualcuno, non scacciamo e non spogliamo dei beni, nella convinzione che sia meglio per noi fare queste cose, anziché non farle?
POLO Certamente.
SOCRATE Allora è in vista del bene che fanno tutte queste cose coloro che le fanno!
POLO Lo affermo.
SOCRATE E non abbiamo forse stabilito di comune accordo che noi vogliamo non le cose che facciamo in vista di un certo fine, [468c] ma il fine stesso per il quale le facciamo?
POLO Proprio così.
SOCRATE Allora noi non vogliamo trucidare, né scacciare dalle città né spogliare dei beni così semplicemente, ma, quando queste azioni siano utili, allora noi le vogliamo compiere, e quando invece siano dannose, non le vogliamo compiere. Infatti, noi vogliamo le cose buone, come tu affermi, mentre le cose che non sono né buone né cattive non le vogliamo, e così neppure le cose cattive. O no? Ti sembra che io dica il vero, Polo, o no? Perché non rispondi?
POLO Dici il vero.
SOCRATE [468d] Dunque, visto che su questo siamo d’accordo, se uno, tiranno o retore che sia, uccide qualcuno o lo scaccia dalla città o lo spoglia dei suoi beni, pensando che questo sia meglio per lui, mentre in realtà si dà il caso che sia peggio, senza dubbio costui fa ciò che gli pare. O non è così?
POLO Sì.
SOCRATE E fa, forse, anche le cose che vuole, se, in realtà, si dà il caso che queste cose siano mali? Perché non rispondi?
POLO Ebbene, non mi sembra che faccia le cose che vuole.
SOCRATE Può essere, allora, che costui abbia grande potere in quella data città, se è vero che l’avere grande potere è, per tua ammissione, un bene?
POLO Non può essere.
SOCRATE Allora io dicevo la verità, quando sostenevo che può ben essere che un uomo, [468e] che faccia nella città ciò che gli pare, non abbia tuttavia grande potere né faccia ciò che vuole.