Un rapido riassunto dell’età giolittiana in Italia.
Indice della guida:
Giovanni Giolitti e l’età giolittiana. Riassunto
Dalla fine dell’Ottocento all’età giolittiana
Gli ultimi anni dell’Ottocento furono molto duri per l’Italia. Il periodo, difatti, fu politicamente e socialmente “caotico”, specialmente durante gli ultimi anni del governo Crispi (sinistra storica, governi 1887-1891 e 1893-1896), dimessosi a seguito della disfatta di Adua nel 1896 (guerra di Abissinia, Etiopia). Il sostituto di Crispi fu Antonio Di Rudinì (destra storica, governi 1891-1892 e 1896-1898), che si trovò a fronteggiare le grandi proteste infuriate nelle piazze italiane del nord.
Di Rudinì, però, scelse di utilizzare il “pugno duro” per reprimere il malessere diffuso nella popolazione e “passò i poteri” al generale Bava Beccaris, il quale ordinò all’esercito di sparare sulla folla protestante durante i moti di Milano (6-9 maggio 1898). Gli scontri milanesi avvennero a seguito di manifestazioni (verificatesi, come già accennato, anche in altre parti d’Italia) da parte di lavoratori che scesero in strada e nelle piazze, per protestare contro le condizioni di lavoro e l’aumento di beni di prima necessità come il pane.
Questo gesto di Beccaris fu clamorosamente elogiato e premiato dal Re Umberto I il quale, in conseguenza di tale atteggiamento, fu successivamente ucciso dall’anarchico Gaetano Bresci il 29 luglio 1900.
La politica interna precipitò e Di Rudinì fu costretto a dimettersi, al suo posto subentrò Luigi Pelloux (generale militare, “indipendente” a livello partitico che fu al governo – una sorta di “governo tecnico militare di contenimento” dal 1898 al 1900).
Il nuovo Re Vittorio Emanuele III decise di sollevare dall’incarico Di Rudinì. Andarono così al governo con la carica di “presidente del consiglio dei ministri del regno d’Italia” prima Giuseppe Saracco, poi Giuseppe Zanardelli, al quale tuttavia subentrò, dopo pochissimo tempo, Giovanni Giolitti.
Giovanni Giolitti al potere e politica interna
Giovanni Giolitti è considerato da alcuni storici uno dei più grandi statisti italiani (assieme a figure come quella di Cavour). Giolitti fu un liberale che capì l’importanza di una necessaria collaborazione tra i liberali e i socialisti, dunque fra il movimento operaio e quello della borghesia, poiché capì che con il movimento operaio (allora rispecchiato dal cosiddetto “socialismo”) bisognava inevitabilmente interloquire, anche politicamente.
Storico rappresentate del movimento operario/lavoratore era, tra gli altri, Filippo Turati, il quale ebbe fin da giovane il desiderio di creare un organismo politico/sociale in cui confluissero tutte le organizzazioni popolari, operaie e contadine. Con il congresso di Genova del 1892 (Al Congresso di Genova, riunito nella Sala Sivori si realizzò, tra il 14 e il 15 agosto 1892, la separazione tra anarchici e socialisti), nacque il Partito dei Lavoratori Italiani, divenuto poi nel 1893 “Partito Socialista dei Lavoratori Italiani” e nel 1895 Partito Socialista Italiano (chiamato PSU durante il fascismo), del quale Turati stesso fu leader. Anche Turati (così come esponenti di spicco come Giacomo Matteotti) dovrà fare i conti con l’ascesa del fascismo e parteciperà (dopo il delitto Matteotti del 1924) alla secessione dell’Aventino. Turati appoggiò Giolitti e da questa alleanza nacquero (tra gli altri eventi) le leggi sulla legislazione sociale del 1904 (Legge Giolitti per la regolamentazione della psichiatria per la prima volta + manicomi. Nel 1904 si verifica il primo sciopero della storia italiana, proclamato dalla Camera del Lavoro di Milano. Il governo Giolitti non intervenne (non represse nel sangue lo sciopero) nonostante le manifestazioni organizzate da Arturo Labriola e dai sindacalisti rivoluzionari suoi sodali (in questo modo, Giolitti fece “sfogare pacificamente” lo sciopero e i sogni della rivoluzione proletaria dei rivoluzionari vennero meno).
Sempre del 1904 è la legge Orlando, la quale prolunga l’obbligo scolastico fino al dodicesimo anno di età.
È necessario inoltre sottolineare che Giolitti riproponeva (in una epoca storica e in un contesto differenti) la politica del trasformismo (già adottata da Depretis; qui diverrà il “trasformismo giolittiano”) nel tentativo d’isolare l’estrema sinistra e dividere i socialisti, coinvolgendo una parte di essi nell’opera di governo.
Ma il tentativo di apertura di Giolitti verso nuove compagini politiche fu guardato con scetticismo dai socialisti, che piano piano si divisero in “riformisti”, ossia coloro che si mostrarono favorevoli al nuovo rapporto con Giolitti, e i “massimalisti”, che invece si basavano su un’opposizione totale ad esso. Successivamente il presidente del consiglio chiese anche al leader dei socialisti, Filippo Turati, di entrare a far parte del governo, ma egli rifiutò a causa della pressione e dell’influenza dei massimalisti (che in quel periodo erano comunque minoritari). Costoro non erano gli unici a non appoggiare la nuova politica giolittiana, poiché nel sud Italia si levò un secondo fronte di opposizione, ossia quello di alcuni proprietari fondiari e di industrie siderurgiche.
Vi era, inoltre, un terzo movimento di opposizione antigiolittiana, quello probabilmente più pericoloso, in quanto i suoi membri optavano per un socialismo rivoluzionario. Tra le sue fila c’era Benito Mussolini.
In questo periodo (1905) il governo di Giovanni Giolitti cadde per la seconda volta, in seguito alle conseguenze politiche di una serie di scioperi indetti dai ferrovieri. Gli subentrarono dapprima Alessandro Fortis, in carica solo un mese e mezzo, e immediatamente dopo Sidney Sonnino, il cui ministero, come nel primo caso, durò abbastanza poco, prima di far spazio ancora a Giolitti, nel 1906.
Proprio in quest’anno, sotto la sua presidenza nacque la CGL (Confederazione Generale del Lavoro), istituita nel congresso di Milano del 29 settembre 1906. Sempre nel 1906 (vengono istituiti gli Ispettori del lavoro, i quali si occupano di azzerare le violazioni in materia di lavoro e di promuovere il dialogo, anche legale, tra datori di lavoro e lavoratori).
L’Italia è in pieno fermento e il decollo industriale, iniziato intorno al 1896 e terminato intorno al 1908, porta con se conseguenze sociali ed economiche completamente nuove.
In questi anni iniziarono ad acuirsi le distinzioni tra nord, centro e sud (vedi, la Questione Meridionale): il Mezzogiorno fu contrassegnato da un generale arretramento e da questo (e da altri fattori affini) si spiegano i vari scioperi e i primi cenni di emigrazione dal sud al nord causati soprattutto dalla disoccupazione e dal malessere (alcuni fatti degni di nota: oltre all’espandersi del fenomeno del brigantaggio, l’eruzione del Vesuvio nel 1906 e il terremoto del 1908 che devastò Messina e Reggio Calabria). Questo fu il motivo per cui Giolitti venne denominato da Gaetano Salvemini, un intellettuale socialista del sud, il “ministro della malavita”.
La politica estera di Giolitti
Giolitti, memore del patto di Triplice Alleanza tra Italia, Austria e Germania (del 1882), era “per tradizione” molto più vicino ai tedeschi. Tuttavia, Giolitti volle ricucire i rapporti con la Francia. Questa fu senz’altro una mossa astuta da parte di Giolitti, perché con il rinnovato avvicinamento alla Francia ebbe appoggio e manforte per il piano di occupazione della Libia.
La guerra che scaturì sul suolo africano (Guerra italo-turca del 1911-1912) fu abbastanza dura ed economicamente assai dispendiosa per l’economia italiana. L’occupazione della Libia determinò un’ulteriore opposizione ad opera di alcuni esponenti del partito socialista, tra cui ancora una volta Salvemini, mentre altri membri dello stesso partito, come Ivanoe Bonomi, appoggiarono l’operato di Giolitti.
La fine dell’età giolittiana
Con le elezioni del 1913, nella quali votarono oltre 5 milioni di italiani (su quasi 10 milioni aventi diritto ed una popolazione intorno ai 37 milioni), il nuovo parlamento confermò la maggioranza allo schieramento liberale.
Dopo i problemi in politica estera, i problemi interni e il congresso del Partito Socialista Italiano di Reggio Emilia del 1912 (il quale congresso aveva visto l’espulsione dell’ala moderata e il prevalere della corrente massimalista, guidata dal giovane anarco-sindacalista Benito Mussolini, divenuto nel frattempo direttore dell’Avanti!), tutto stava ad indicare che la lotta politica si stava acutizzando tra l’estremismo di sinistra e una borghesia che sosteneva l’imperialismo.
Furono forse queste le preoccupazioni che, unite all’imminenza delle elezioni del 1913, spinsero Giolitti alla ricerca di un più vasto consenso di massa con l’istituzione del suffragio universale maschile nel 1912 (dal 1912, in Italia il diritto di voto fu esteso a tutti i cittadini maschi di età maggiore di 30 anni) e soprattutto con il patto Gentiloni con i cattolici in funzione antisocialista (per allargare il consenso di governo). I risultati elettorali sembrarono premiare la politica giolittiana, ma era un’illusione temporanea: ormai lo scontro tra la destra e la sinistra si combatteva nelle strade, come dimostreranno i disordini della “Settimana Rossa” (una insurrezione popolare, contro il governo Salandra, svoltasi nel giugno del 1914 ad Ancona), guidata dal socialista Mussolini, dal repubblicano Pietro Nenni e dall’anarchico Errico Malatesta.
Questa situazione sociale politicamente complicatissima (ed ingestibile) convinse Giolitti (già dimessosi nel marzo del 1914) in maniera ancora più decisa ad abbandonare (almeno temporaneamente) la vita politica. Giolitti si dimise, lo ricordiamo, designando come suo successore il conservatore Antonio Salandra (rappresentante dell’Unione liberale, un gruppo elettorale multirappresentativo nato a seguito del Patto Gentiloni).