Edmund Husserl è uno dei più grandi filosofi della storia della filosofia. Egli fu un genio poliedrico e viene universalmente riconosciuto come il padre della Fenomenologia.
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Edmund Husserl – Riassunto generale
Edmund Husserl nacque a Proßnitz (in Moravia, allora Impero austriaco, oggi Prostějov nella Repubblica Ceca) nel 1859, da una famiglia ebrea benestante che aveva come lingua madre il tedesco. Husserl fu, di formazione, un matematico (intraprese dopo il diploma studi di astronomia, di matematica, di geometria etc. a Lipsia e a Berlino); nel 1883 conseguì il dottorato con il lavoro “Contributi al calcolo delle variazioni” e divenne assistente del grande matematico Weierstrass.
A Vienna, Husserl ascoltando le lezioni di Brentano, rimase “folgorato”: si convertì e si innamorò della psicologia di Brentano e seguì i suoi corsi di filosofia e psicologia (dal 1884). Nel 1887, Husserl si fece battezzare per sposare Malvine Steinschneider nella chiesa evangelica luterana protestante. Nel 1891 scrisse la sua prima opera importante: “La filosofia dell’aritmetica”. Nel 1896, intanto, Husserl prese la nazionalità prussiana.
Dagli “anni degli studi filosofici” iniziò a nascere la cosiddetta “fenomenologia” di Husserl, la quale – secondo grandi studiosi come Carlo Sini – ha un animo doppio: c’è l’Husserl prima del 1901 e soprattutto prima del 1913 e c’è l’Husserl dopo queste date/fasi (dal 1901 ed in particolare dal 1913 in poi).
Gli ambiti di influenza di Husserl e della fenomenologia sono tantissimi e variegati. Husserl, con la sua opera, ha influenzato:
- La matematica
- La logica
- La psicologia
- La psichiatria (la psichiatria fenomenologica)
- Le scienze cognitive (le quali rivendicano il primo Husserl, l’Husserl della logica e della matematica), l’intelligenza artificiale, la filosofia della mente
- La linguistica
- Le scienze umane in generale
- La sociologia
Il dualismo di fondo che “scuote alle radici” la filosofia husserliana, quello che è e sarà presente in tutta la sua opera, si può descrivere come un tentativo di “far conciliare/convergere” le correnti che lo hanno influenzato e che sono sempre state in lotta fino a quel momento:
- Matematica VS Filosofia
- Il mio problema è l’oggetto VS Il mio problema è il soggetto
- Locke e Hume VS Leibniz e Kant
- Empirismo VS Razionalismo
- (Oggi, nella contemporaneità) Filosofie analitiche VS Filosofie continentali
Le fasi principali di Husserl (fatta salva la sua prima fase “formativa” da scienziato prima del 1887 e l’ultima fase – dal 1928 alla sua morte nel 1938 – da professore emerito perseguitato dai nazisti) sono principalmente tre:
1887-1901 > Halle > La prima fase di studio della psicologia e della filosofia. Husserl rimase folgorato da Brentano e venne seguito, nel cammino verso l’abilitazione, da un ex-studente di Brentano di nome Carl Stumpf (poi Stumpft diventerà fondatore della scuola di Berlino insieme a Wertheimer e a Koffka). Husserl seguirà Brentano ma piano piano se ne distaccherà; da Brentano “carpirà” i concetti di INTUIZIONE e di INTENZIONALITÀ DELLA COSCIENZA.
INTENZIONALITÀ DELLA COSCIENZA: Ogni atto di coscienza è intenzionale, cioè, ha come intenzione il suo oggetto: “Se sto ricordando, l’oggetto è il ricordo, se sto percependo, l’oggetto è la percezione, se sto immaginando, l’oggetto è l’immaginazione, se sto sentendo musica, l’oggetto è la percezione musicale etc. etc”.
Che cosa unifica tutte le verità della cultura (la verità del chimico, la verità dell’antropologo etc.)? La coscienza! Perché tutte queste sono forme di intenzionalità della coscienza: il matematico “intenziona” i suoi oggetti che sono i numeri etc.
Husserl mette insieme “il fatto empirico” e “il fatto ideale” (il fatto materiale e il fatto formale, se vogliamo) e afferma che (mentre prima, dalla tradizione, essi erano stati separati l’uno dall’altro) invece essi mi si danno insieme tramite l’intuizione. Una forte unità di “materia e forma” dove però la materia è già forma e la forma è già dentro una materia.
NESSUNO fa immediatamente esperienza dei dati sensibili: questa, secondo Husserl, è una astrazione, una balla! Ognuno fa invece esperienza diretta e immediata di una loro interpretazione (esempio: nell’immediato, un suono è un suono; non è “qualcosa + un suono”).
Su questa base Husserl propone una ristrutturazione, una ricostruzione della filosofia.
“Succedono” però alcuni “guai”:
- Il primo guaio era già successo a livello di filosofia dell’aritmetica, quando, ancora sotto l’influenza di Brentano, Husserl cercava di dimostrare quali sono i fatti psichici che poi si traducono nei numeri. Gli sforzi di Husserl sono grandi ma non sufficienti, tanto che non convincono nemmeno Husserl stesso e suscitano addirittura le critiche di tanti logici tra cui ricordiamo la critica del famoso Gottlob Frege! Frege gli fa una obiezione fondamentale: “ATTENZIONE! Il numero 3 non è la rappresentazione psichica del numero 3! Non è che perché io ho una rappresentazione psichica (che ne so, “la terna” o “la trinità”) allora da qui tiro fuori per astrazione il numero 3! Il numero 3 è il numero 3. È una idealità perfetta. I numeri esisterebbero anche se il mondo non ci fosse”. E Husserl alla fine gli da ragione. “Si avete ragione voi logici, i numeri sono delle idealità della percezione, idealità dell’intenzionalità; la matematica è una forma, la musica è una forma, anche se sono forme sempre incarnate” e crea questa “ontologia prima” però >>>
- A questo punto, dopo che Husserl ha cambiato la sua visione, gli si presenta l’obiezione di Paul Natorp, il più alto rappresentante dei neokantiani di Marburgo. Natorp gli dice: “Tu esami l’intenzionalità e mostri che l’intenzionalità è sempre una intuizione sensibile e formale, che non si sente “qualche cosa che poi diventa suono”, si sente subito “qualcosa che è un suono”. Bene. Ma il suono come nasce? Quale è il fondamento di questo esame dell’esperienza? Se è vero che non è questione di associazione mentale come dicono gli empiristi (secondo gli empiristi, prima ci sarebbe la materia, poi per associazione mentale dico che è un suono; prima ci sarebbero tanti alberi, poi a furia di vederli penso che sono alberi), ma immediatamente è in funzione la forma (come diceva Kant, con le categorie dell’intelletto che afferrano la realtà e mi fanno vedere “sostanze, cause” etc.), tu questo come lo spieghi? Come arrivi a questo risultato?
- Qui arriva la rivoluzione di Husserl, la “rivoluzione trascendentale”. Il ripensamento del fondamento, in una sorta di “rivoluzione idealistica” (come gli è stato detto, anche se lui non era d’accordo con questa definizione), cioè in un ripensamento del fondamento di quella operazione che poi da luogo alle “categorie formali dell’esperienza”. Husserl si rende sostanzialmente conto che deve passare da una fenomenologia statica (che descrive le intenzionalità e ne raccoglie le forme) ad una intenzionalità genetica. E di qui, il capolavoro del 1913 di Husserl, cioè l’opera “Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Volume I” (opera chiamata dagli studiosi “idee in primo”).
1901-1916 > Gottinga > Dove nasce la Fenomenologia. Qui nascono le “Ricerche logiche” (prima edizione del 1900-1901) che danno fama a Husserl. Nelle “Ricerche logiche” Husserl non usa ancora la parola “fenomenologia”, ma usa la parola “psicologia descrittiva”. Questo libro segna la morte dello psicologismo (con buona pace del povero Brentano, il quale si ritrova dunque un allievo che “lo critica fino ad opporsi”).
1913: pubblicazione di “Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Volume I”. In questa opera, come già accennato, avviene la SVOLTA TRASCENDENTALE e nasce il SECONDO HUSSERL.
Husserl immagina un “metodo”: il soggetto che descrive l’esperienza per trarne fuori la genesi delle forme ideali (per cui un suono non è una parola etc.), deve operare in una particolare situazione di osservazione, caratterizzata da quella che lui chiamava “epochè” o “la sospensione del giudizio”. Io guardo semplicemente l’esperienza a partire da ogni giudizio già dato, di ogni pregiudizio, una osservazione del fenomeno per “descrivere il fenomeno così come si dà e nei limiti in cui si dà”.
Questa è la RIDUZIONE TRASCENDENTALE, la quale guarda come si muove il fenomeno nella sua origine. Come si rende possibile questa osservazione? (molti discepoli qui lo abbandonarono, accusandolo di idealismo oppure accusandolo di aver ceduto a Natorp ed essere diventato un neokantiano) Husserl dice che bisogna ritornare alle operazioni costitutive: “come fa un bambino a prendere nozione dello spazio? Come in lui si sviluppano esperienze che poi egli, più avanti, chiamerà “spaziali”?”. Qui bisogna descrivere l’incontro con il “fenomeno spazialità” a partire da una “soggettività ridotta”, una soggettività che non ha già deciso, che si è purificata di ogni pregiudizio/precomprensione!
Questo “sembra” molto idealistico (nel senso di Kant o di Fichte o di Gentile), ma SEMBRA! Perché Husserl non dice “il soggetto ridotto è un pensiero, è una mente”, ma “il soggetto ridotto è un corpo; il soggetto ridotto è la pura riduzione alla corporeità; corporeità vivente e operante” (in tedesco = “Leib” cioè “corpo che fa esperienza a partire da”, e non “Körper” inteso come “corpo cosa”; vedi qui anche il concetto di Erlebnis in Husserl). Per cui, ad esempio, la genesi del concetto di spazio non si può fare senza i 5 sensi, senza gli occhi, senza le orecchie e a partire da questa “costituzione prima” dove “il soggetto ridotto è il mondo stesso”, ma il mondo così come esso opera spontaneamente e non come io nei miei pregiudizi penso che operi.
Bisogna ritornare umili, bisogna tornare a guardare il mondo come uno sguardo puro, e lo sguardo puro del mondo è il mio corpo, che è il mondo, esso è un “Ich Welt” = un “io mondo”.
Ora, c’è una questione fondamentale: la descrizione delle forme pure dell’esperienza ha bisogno di un fondamento (Natorp ha ragione!). Come accade che il nostro mondo è spaziale? Come accade che il nostro mondo è temporale? Che è sociale? Che è politico? Etc. etc.
Non bisogna esporre una teoria, bisogna partire da “una visione delle operazioni che è essa stessa operativa”. Bisogna fare l’epochè, liberarsi dai pregiudizi e poi bisogna descrivere in questo atteggiamento i fenomeni dell’esperienza come si danno, bisogna costruire un “sapere operativo”, un “sapere di operazioni”. Il filosofo, nel suo stare a guardare, deve “interrogare il fenomeno” e “far parlare il fenomeno” e questa descrizione (in atteggiamento “puro”) va fatta senza sosta e continuamente (aneddoto di Enzo Paci al suo maestro Antonio Banfi: “Maestro, che cos’è la fenomenologia?” “lo vede questo vaso di fiori? Lo descriva!”). Ad esempio, un oggetto spaziale “si adombra” (se vedo davanti non vedo dietro, se vedo a destra non vedo a sinistra) e Dio non potrebbe vederlo spazialmente, perché altrimenti Dio “vedrebbe sempre un’altra cosa” che non è un oggetto spaziale, è al massimo “un’altra cosa rispetto ad un oggetto spaziale”.
La fenomenologia è dunque una operazione pratica. Nella fenomenologia, liberatici dai nostri pregiudizi (e dalla falsa coscienza di sapere le cose), ricostruiamo le origini del nostro sapere (esempio di Husserl e dell’agrimensore che passeggia sui campi e segnala col suo cammino la spazialità di un campo e “scopre” la geometria). La fenomenologia è un compito infinito, il progetto della fenomenologia è “un proposito mai compiuto” in Husserl (secondo le parole di Gerd Brand).
1916-1928 > Friburgo, dopo il successo di “idee in primo”, diventa la capitale della fenomenologia. Qui Husserl conosce il giovane Heidegger.
1935: dopo essere stato “allontanato” dagli ambienti tedeschi (vedi gli eventi connessi con il nazismo), da pensionato Husserl vive una nuova “svolta” coincidente con il ciclo di conferenze di Vienna e poi di Praga. In queste conferenze, dovendo spiegare che cos’è la fenomenologia ed “improvvisando” il discorso sulla fenomenologia, si accorge di “avere in mano qualcosa di nuovo”. Troverà una via che sarà, appunto, un “qualcosa di nuovo”, un “piccolo inizio”.
Verrà aiutato a scrivere queste nuove riflessioni e quelle che poi saranno le sue ultime righe (racchiuse nell’opera “La crisi delle scienze europee e la filosofia trascendentale” ed incompiute) dal suo discepolo/assistente Ludwig Landgrebe, il quale gli rimarrà accanto fino alla morte.
Husserl si ammala durante questo ultimo lavoro e muore a Friburgo nel 1938.
Tutti i manoscritti di Husserl sono stati salvati da un frate francescano, padre Van Breda, il quale portò via tutti i manoscritti dalla casa di Husserl nascondendoli sotto al bucato e trasportandoli fino in Belgio, dove si costituì “l’archivio Husserl”.
Che cos’è “l’intuizione antica”? Il nuovo “piccolo inizio” di Husserl? L’intuizione antica è il fatto che, se io devo descrivere geneticamente come la nostra esperienza umana si caratterizzi così ben strutturata piena di forme, di categorie (categoria del ricordo, categoria dello spazio, categoria della lingua etc.), se devo fare questa operazione di ricostruire la genesi di come questo è accaduto nella nostra esperienza, allora devo partire da un livello nel quale questo non è ancora accaduto. Questo livello di base al quale porre le domande di “costituzione prima”, sarà pre-categoriale. Io devo indagare un campo precategoriale, il quale è originariamente la nascita stessa del mio corpo, il quale messo a contatto con il mondo e la società, acquisisce le categorie storiche della propria cultura etc. etc. Ma per poter arrivare ad una evidenza di questa operazione, devo poter interrogare questa esperienza prima e a questa esperienza prima Husserl dava il nome di “mondo della vita” (Lebenswelt).
L’intuizione prima (quella che dice alla suora – pur essendo Husserl agnostico – che lo accudiva prima di morire) è straordinaria: Husserl capisce che non si tratta, come ha pensato tutta la vita, di costruire una scienza della coscienza o una scienza del mondo della vita. No. Alla base non sta una scienza. Alla base sta l’opinione, la doxa (e non l’epistème!).
C’è un rovesciamento totale di 2500 anni di filosofia.
Secondo Husserl noi, con la nostra cultura, ci siamo sbagliati, perché non ci siamo accorti che l’opinione non è qualcosa di negativo (come invece pensavamo!).
Lo scienziato vi dirà “si, certo che si parte dalla vita, ma per abbandonarla! Per costruire un modello che è un modello puro, sicuro che nessuno intende negare questo aspetto costruttivo della scienza”. Ma poi CHE COSA STA ALLA BASE E CHE COSA CARATTERIZZA IL SUCCESSO DELLA SCIENZA? (la grande domanda di Einstein!) Perché noi con le nostre formule matematiche in fisica riusciamo a descrivere efficacemente la natura che non è assolutamente fatta da formule fisiche e nemmeno matematiche? Perché il successo della scienza? La scienza non ha risposte per questo!
E allora, secondo Husserl, bisogna regredire! Regredire all’esperienza pura e quindi, in ultima analisi, a nient’altro che al mondo della doxa, dell’opinione.
Queste “opinioni” o “opinioni comuni” (il selvaggio della foresta non ha imparato da nessuna scienza a vivere nella foresta, l’uomo metropolitano non ha imparato a vivere in città da nessuna scienza; il padre e la madre che ti dicono “fai così, perché in quell’altro modo, sbagli” non applicano una scienza esatta etc.), queste conoscenze sono verità precisamente definite secondo le esigenze imposte dai “progetti pratici della vita”. Questi “progetti pratici della vita” detengono il “senso” di queste opinioni e quindi bisogna “tornare lì”.
Gli stessi scienziati non si rendono conto che loro stessi fanno uso del “mondo della vita”, e della opinione, della doxa. Con cosa descrivono le loro esperienze se non con le parole e le esperienze di tutti?
Certo, bisogna farsi carico di questa “relatività” e bisogna imparare ad orientarci in “questo fiume eracliteo, in questo mondo soggettivo inafferrabile” nel quale tutti ci muoviamo sulla base dell’opinione (perché siamo cresciuti con gli abiti dell’opinione) [Il mondo non è parmenideo, è eracliteo].
Questi “abiti” sono opinioni, valgono quel che valgono, certo. Ma sono indispensabili! Sono assolutamente primari! Non insegniamo la geografia ai bambini appena nati, non insegniamo la grammatica ai bambini, gli mostriamo come si parla e come ci si muove nello spazio e questo crea le prime opinioni costanti che, piano piano, convergono verso una sapienza comune.
Quindi, che cos’è il “mondo della vita”? Un mondo caratterizzato da qualsiasi attività vitale. In qualunque luogo della terra esistano attività vitali, questo è il mondo della vita, è la base sulla quale si costruiranno i saperi ulteriori. Prima c’è la prassi, poi (per astrazione, diciamo) c’è la teoria.
Osserviamo come siamo ben al di là dell’Europa, al di là di Platone, al di là dell’occidente, in una sorta di dialogo con la cultura umana.
Questo mondo “si fa” e quindi nessuno è il PROPRIETARIO di questo mondo! È questa “sapienza dell’umanità” ciò che deve diventare “oggetto” della filosofia. Un oggetto che deve essere articolato nella SUA verità, perché la SUA verità ci fa liberi.
Husserl e la fenomenologia in breve
La fenomenologia non è un sistema filosofico ma un vero e proprio metodo di “ritorno alle cose stesse” (“zu den Sachen selbst!” è il motto tedesco). I limiti dell’evidenza apodittica (di ciò che filosoficamente, essendo evidente di per sé, non ha bisogno di dimostrazione, o se dimostrato è logicamente inconfutabile) rappresentano, per Husserl, i limiti del nostro sapere.
Dunque, è necessario cercare cose così manifeste, fenomeni così evidenti, da non poter essere negati. Su tali fenomeni si potrà fondare quindi la conoscenza.
Per fare ciò è necessario mettere tra parentesi tutte le nostre convinzioni filosofiche, questa operazione viene chiamata dai fenomenologi “epoché” (l’epoché si presenta quindi come un vero e proprio “metodo fenomenologico di indagine”).
Ciò che rimane dall’epoché (un vero e proprio “residuo fenomenologico”, come lo chiama Husserl) è la coscienza (ritorno, se vogliamo, a Cartesio e al cogito). L’esistenza della coscienza è immediatamente evidente. A partire da questa evidenza, il fenomenologo intende quindi descrivere i modi tipici (chiamati “coscienze eidetiche”) in cui le cose e i fatti si presentano alla coscienza.
Esempi: al fenomenologo non interessa l’analisi di questa o quella norma morale, ma interessa comprendere perché questa o quella norma sono norme morali e non, ad esempio, norme giuridiche; al fenomenologo non interessa esaminare i riti di una religione o di un’altra, egli sarà interessato a capire che cos’è la religiosità.
L’opera del fenomenologo è quindi una vera e propria scienza di essenze. Ad esempio, noi distinguiamo un testo magico da un testo scientifico, ma come facciamo a fare questo se non perché adoperiamo delle distinzioni essenziali?
Ecco allora che possiamo capire che cos’è la fenomenologia: una scienza, stabilmente fondata, dedicata all’analisi e alla descrizione delle essenze.
La fenomenologia si distingue dalla psicologia: lo psicologo infatti manipola dati di fatto e studia fatti particolari mentre il fenomenologo manipola essenze e studia idee universali, egli non si interessa del comportamento morale di una persona ma vuole conoscere l’essenza della moralità.
Cosa sono le essenze?
Le essenze sono evidenze apodittiche. Le evidenze apodittiche (ciò che, lo ricordiamo, è filosoficamente evidente di per sé, e non ha quindi bisogno di dimostrazione, o se dimostrato è logicamente inconfutabile) non sono solo i principi logici, ma anche le leggi di base della matematica pura. Inoltre, oggetti ideali sono anche l’idea di rosso o di altezza o anche proposizioni come “il rosso è un colore” o “l’altezza non è un colore”, delle idee la cui validità non dipende dai dati di osservazione.
In un fatto si coglie sempre un’essenza, secondo Husserl. L’individuale si annuncia alla coscienza attraverso l’universale (il fenomeno individuale appare alla coscienza come necessariamente legato alla rispettiva essenza). Quando la nostra coscienza coglie un fatto qui e ora, essa coglie anche la rispettiva essenza, il “quid” di cui questo fatto particolare contingente è un caso particolare: questo è un caso particolare dell’essenza colore, questo è un caso particolare dell’essenza suono etc. Le essenze sono quindi i modi tipici di apparire dei fenomeni.
Ad esempio, non estraiamo l’idea o l’essenza di triangolo dalla comparazione di più triangoli, ma tutti i triangoli che ci appaiono sono casi particolari dell’idea di triangolo. Insomma, per comparare più fatti bisogna aver colto già un’essenza, cioè un aspetto per cui essi sono simili.
La conoscenza delle essenze è una intuizione, ma è una intuizione distinta da quella che ci permette di cogliere i fatti singoli ed Husserl la chiama “intuizione eidetica”.
Ma come si ottengono queste essenze invarianti? Di un concetto che si vuole spiegare si prende un determinato esempio e si introducono poi, a mano a mano, variazioni nelle proprietà, fino a che si giunge a quel punto in cui non si può più variare. Questa tecnica era già stata utilizzata da Cartesio nella seconda Meditazione [Cartesio, Meditazioni metafisiche] (esempio del pezzo di cera che ha un certo odore e una certa forma ma se scaldato cambia le proprietà; qui la conclusione finale è che l’estensione è l’essenza della materia).
Queste essenze non vivono solo all’interno del mondo percettivo; anche dei fatti come ricordi, le speranze e il desiderio hanno la loro essenza, si presentano cioè alla coscienza in modo tipico (per approfondire, vedi il concetto di “ontologie regionali”). Ad esempio, la memoria si presenta alla coscienza in maniera differente dalla percezione.
L’intenzionalità della coscienza, il ruolo del fenomenologo e l’epoché
La caratteristica fondamentale della coscienza è l’intenzionalità. La coscienza, infatti, è sempre coscienza di qualche cosa. Quando percepisco, o immagino, o penso, o ricordo, io percepisco, immagino, penso, o ricordo qualcosa. La coscienza è quindi una sorta di palcoscenico, che va svuotato per evitare che la rappresentazione successiva sia “traviata” dalla rappresentazione precedente.
Ciò che conta per il fenomenologo e descrivere quello che effettivamente si dà alla coscienza, la cosa che nella coscienza si manifesta, nei limiti in cui tale cosa si manifesta.
“Ogni intuizione che presenta originariamente qualche cosa è di diritto fonte di conoscenza; tutto ciò che si offre a noi originariamente nell’intuizione (che ci si offre, per così dire, in carne e ossa) deve essere assunto così come si offre, ma anche soltanto nei limiti in cui si offre”. HUSSERL E., Ricerche logiche, Il Saggiatore, Milano, 1968.
L’epoché richiama certamente il dubbio scettico o il dubbio cartesiano, tuttavia, non significa propriamente dubitare. Fare epoché vuol dire piuttosto sospendere il giudizio su tutto quello che innanzitutto ci dicono le dottrine filosofiche con i loro spesso inconcludenti dibattiti metafisici, su quanto dicono le scienze, su quello che ognuno di noi afferma e presuppone nella vita quotidiana, cioè sulle credenze che intessono l’atteggiamento naturale (come lo chiama Husserl). Ad esempio: dalla mia persuasione che il mondo esiste non debbo dedurre nessuna proposizione filosofica, per la ragione che l’esistenza del mondo, al di fuori della coscienza che l’avverte, non è affatto indubitabile. Il fenomenologo quindi non nega l’esistenza del mondo ma la mette tra parentesi, come se non ci fosse.
Ma in questa ottica esiste qualcosa di cui non si può dubitare? Sì, ed è la coscienza.
Il mondo, dice Husserl, è costituito dalla coscienza, in quanto è la coscienza che dà significato al mondo (ora resterebbe da vedere se “dare significato” vuol dire in questa ottica “creare” il significato o diversamente “rivelarlo”; Husserl non è sempre chiaro su questo punto e pare oscillare, nei suoi periodi filosofici, tra uno e l’altro significato).
“Sono io quello che esercita l’epoché, sono io che interrogo il mondo come fenomeno, quel mondo che vale ora per me nel suo essere e nel suo essere tale con tutti gli uomini che esso comprende, dei quali sono così pienamente certo; dunque io che sto al di sopra di ogni ente naturale che ha senso per me; io che sono il polo soggettivo della vita trascendentale nella quale in primo luogo il mondo ha senso per me puramente come mondo: io nella mia piena concretezza abbraccio tutto ciò”. HUSSERL E., La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Parte terza 54-b.
In quanto uomo, il filosofo crede nell’esistenza del mondo e non può fare a meno nella vita pratica di credere in molte altre cose, ma come filosofo non può partire da esse. L’essere umano non può partire nemmeno dai risultati della ricerca scientifica, poiché le scienze, pur procedendo nel loro ambito criticamente e rigorosamente, interpretano (accettandoli “ingenuamente”) i dati dell’esperienza comune, senza chiedersi se questi resistono alla pressione dell’epoché, cioè se siano dati indubitabili (e se non lo facesse non sarebbe scienza!). L’essenza del mondo, perciò, non costituisce un problema per il fenomenologo, in quanto essa “è sempre là”.
Ecco il problema che vuole risolvere il fenomenologo con l’epoché: quale è il significato, il fine del mondo per me, prima di tutto e originariamente, e poi per tutti i soggetti?
La crisi delle scienze e il mondo della vita
Secondo Husserl, il concetto positivistico di scienza ha lasciato cadere tutte quelle questioni che sono i problemi ultimi e supremi. La crisi delle scienze, pertanto, è «la caduta dell’intenzionalità filosofica», è la «caduta nel naturalismo», la riduzione della razionalità a razionalità scientifica.
E così il «categoriale», cioè le categorie scientifiche, si sostituisce al concreto, al pre-categoriale, vale a dire al mondo-della-vita (Lebenswelt). Il mondo della vita è l’ambito delle nostre originarie «formazioni di senso», è l’insieme delle operazioni svolte prima della nascita della scienza (per approfondire, vedi il concetto di “intuizione originaria”): come faccio a conoscere il mondo e a vedere appena nato se non ho mai letto nessun manuale di ottica? Come faccio ad imparare ad andare in bicicletta anche se non ho la minima idea di come la bicicletta funzioni e di quali leggi ne regolino il funzionamento?
La geometria (è questo un celebre esempio di Husserl) ha alle sue spalle tutto un mondo di percezioni, di misure effettuate per tentativi con lo sguardo oppure camminando sul terreno; lo storico presuppone, nell’esame tecnico dei documenti, tutto un mondo di intenzionalità comunicative e significanti; il giurista lavora scientificamente sui codici. Ma dietro di loro pullula il mondo umano dei bisogni, dei sentimenti, delle esigenze, delle finalità e delle intenzioni.
Ebbene, il dramma dell’epoca moderna è il dramma che cominciò con Galileo: egli ritagliò dal mondo-della-vita la dimensione fisico-matematica, e questa poi venne considerata come vita concreta. Certo, la filosofia riconosce la funzione della scienza e della tecnica, ma la funzione della filosofia (scrive anche Enzo Paci) è quella di “liberare la storia dalla feticizzazione della scienza e della tecnica”. La riduzione trascendentale, dunque, deve essere ripresa (in continuazione) e non potrà mai essere considerata come “completamente compiuta”. In tal modo, la filosofia che porta alla scoperta del fatto che ogni oggettività non è assoluta ed è superabile, è il senso stesso della vita.