Cosa significa eterogenesi dei fini e da dove nasce questo termine? Che cos’è l’eterogenesi dei fini?
L’eterogenesi dei fini
Lo psicologo e filosofo tedesco Wilhelm Wundt chiama “legge dell’Eterogenesi dei fini” (dall’opera Ethik del 1886) l’osservazione secondo la quale i fini che la storia realizza non sono quelli che gli individui o le comunità si propongono, ma sono piuttosto il risultato della combinazione, del rapporto e del contrasto sia delle volontà umane tra di loro sia delle condizioni oggettive (condizioni oggettive che potremmo definire “le leggi dell’universo”). E per il sommarsi delle conseguenze e degli “effetti secondari” dell’agire, si modificherebbero gli scopi originari, o nascerebbero nuove motivazioni, anche di carattere non intenzionale.
In parole povere: le conseguenze delle nostre azioni intenzionali cadono fuori dalla nostra stessa intenzione.
Le conseguenze generali (e quindi i “fini generali”) di una azione possono essere diverse dai fini del soggetto che compie (intenzionalmente) quella stessa azione.
Secondo il principio dell’eterogenesi dei fini, dunque, le conseguenze delle nostre azioni sono più grandi e imprevedibili di quanto noi possiamo pensare nel momento stesso in cui agiamo.
Concetti simili possiamo ritrovarli in Vico (nella conclusione dell’opera Scienza Nuova del 1744), in Mandeville (il quale li ha semplificati con la celebre “favola delle api”), in Hume, in Ferguson, in Machiavelli e in de Maistre.
Smith parla di una “mano invisibile” (il concetto di “invisible hand” è divenuto assai famoso) la quale fa sì che i soggetti economici producano effetti diversi da quelli intenzionalmente perseguiti.
Anche Hegel è convinto che nelle azioni degli uomini venga, mano a mano, portato alla luce ciò che “non è nella loro coscienza e intenzione” (Lezioni sulla filosofia della storia, Volume I).
La nozione di eterogenesi dei fini è stata ripresa anche dal noto sociologo ed economista Hayek, il quale ha fatto di questo concetto uno dei capisaldi della sua teoria.